VITAMINA D

  Gaia Straus (2017)

 Sembrerebbe sempre più affermarsi, di fatto, l’opinione che la vitamina D sia un importantissimo elemento propedeutico al benessere dell’uomo e che la sua carenza possa portare a una interminabile sfilza di malattie, compresi il cancro e sindromi degenerative delle ossa, del cuore e altre tipologie di malattie, anche quelle autoimmuni (Alzheimer, Parkinson, SLA, ecc.).

  Tuttavia, va anche detto preliminarmente che Gerson non utilizza questa vitamina nella sua terapia e i suoi pazienti stanno comunque magnificamente. Forse i vegetali potrebbero compensare in qualche modo questa vitamina, non a caso la terapia Gerson è indicatissima per problemi osteoarticolari. Anche Ehret insiste sull’importanza della luce solare e dell’aria aperta consigliando bagni di sole e d’aria.

Con la stessa logicità concernente la nutrizione dell’uomo si può giungere alla questione della vitamina D. Infatti, incomprensibilmente e ingenuamente, in passato non mi ero mai fermata a riflettere, logicamente, sulla problematica della vitamina D, almeno fino a che alcuni medici non ne hanno sollevato il logico problema.

Bisogna solo verificare a quanto ammonti la carenza di questo ormone (classificato solo in seguito a studi successivi alla sua scoperta come ormone steroideo) denominato nelle fasi iniziali come vitamina D e che ha poi mantenuto questa denominazione.

Le carenze di vitamina D nell’uomo si sono evidenziate in molti periodi storici, in cui, tra l’altro, non si poteva porre rimedio perché non si avevano gli strumenti a disposizione. Tuttavia, l’età contemporanea è quella che, forse, vede la peggiore congiunzione di eventi che fanno sì che da essi scaturisca una preoccupante ed endemica carenza di tale ormone. Infatti, le discutibili abitudini dell’animale sociale uomo, per quanto comprensibili, influiscono grandemente in tale, ancora solo marginalmente percepita, mancanza.

L’uomo nell’età moderna e contemporanea si copre sempre più integralmente, vive in spazi chiusi anche d’estate e quando, quei pochi giorni l’anno, si espone ai raggi solari lo fa con protezioni che non consentono l’acquisizione dei raggi UVB, responsabili della produzione di vitamina D.

La questione della vitamina D è solo marginalmente di interesse di Big Mafia, in quanto ancora non si ha la misura della gravità di tale carenza per la salute. Tuttavia, se, come si pensa, può realmente essere d’aiuto in una serie interminabile di malattie, allora Big Mafia avrebbe un forte interesse economico a mantenere tale deficienza nell’uomo moderno.

Le scimmie, che sono gli animali più simili all’uomo, non si coprono la pelle, probabilmente cercano riparo dai raggi solari intensi, ma ciò è normale in moltissimi animali. Poiché sembrerebbe che bastino poche decine di minuti di sole intenso per accumulare alte quantità di vitamina D, gli esseri che non si coprono hanno la possibilità di acquisirne le quantità a loro necessarie, anzi, se presa secondo la stagionalità, quindi gradualmente, l’organismo assume ciò di cui necessita. Si tratta di un meccanismo perfetto, così come tutto ciò che deriva dalla Natura.

È assolutamente logifico, quindi, che l’uomo, avendo stravolto le sue abitudini di animale, abbia anche modificato l’assunzione di tale ormone naturale. Risulta, quindi, evidente come le abitudini dell’uomo moderno possano influire sulla sua salute.

La vitamina D, in altre parole il sole, sembrerebbe essere indispensabile, secondo studi medici recenti, per mantenere una buona salute. Si ritiene, infatti, che essa possa influire sulla depressione, l’osteoporosi, il diabete, il rachitismo, la sclerosi multipla, l’influenza, il cancro, il dolore cronico, l’asma, sulle malattie autoimmuni, la demenza senile e tanto altro ancora.

Il sole è quindi un elemento imprescindibile, al momento, almeno finché non matureremo un mutamento genetico che ci faccia stare bene anche senza sole. Ne andrebbe, quindi, incoraggiata l’assunzione moderata invece che, come avviene spesso, demonizzarne l’esposizione.

È ovvio, infatti, che l’esposizione debba essere moderata. Come indicano i medici pionieri della materia, bisognerebbe esporsi fino a un massimo della metà del tempo necessario per arrossarsi. Quindi, se si evidenzia eritema in mezz’ora di esposizione al sole estivo di mezzogiorno, bisognerà esporsi per massimo quindici minuti, se ci si arrossa in un’ora, bisognerà esporsi per massimo mezz’ora, e via dicendo. Comunque, la regola di base è quella che non ci si deve scottare sotto i raggi solari.

Secondo Natura, l’uomo dovrebbe indossare solo il perizoma, e nei mesi invernali qualche pelle di animale per proteggersi dal freddo. Dall’inizio della primavera, quindi, sarebbe colpito naturalmente dai raggi solari che ne pigmenterebbero la pelle in maniera graduale e senza le scottature che avvengono nell’uomo moderno perché, nella maggior parte dei casi, si scopre solo a luglio o ad agosto.

Solo l’uomo (e gli animali a sangue freddo) giace per svariate ore a rosolarsi al sole intenso, spesso senza neanche aver preparato la pelle prima. Normalmente è ricoperto da indumenti, finché non si reca in spiaggia per la prima volta e prende una overdose di sole che, in questo modo, può certamente essere dannoso. Nessun altro essere vivente si comporta in questo modo.

È ovvio che se ci rechiamo al mare per la prima volta a ferragosto e ci si denuda solo allora, magari nelle ore sbagliate, si possono subire delle spiacevoli conseguenze ed è altrettanto vero che utilizzando delle creme contenenti prodotti chimici quali l’octil-metossicinnamato[1] tali rischi sono addirittura aumentati.

Bisognerebbe, forse, adottare delle semplici precauzioni, utilizzando indumenti coprenti o dei filtri solari che non contengano sostanze dannose, dopo aver assunto la nostra dose di sole senza protezioni.

Il graduale incremento della pigmentazione sarebbe, quindi, naturale e probabilmente la regolazione di questo ormone all’interno del corpo avverrebbe in  maniera corretta. Logicamente, in Natura, si farebbero scorpacciate di vitamina D nelle prime esposizioni solari dei mesi primaverili per poi diminuire man mano che si produce melanina e la pelle si scurisce.

Contestualmente, con l’avanzare della bella stagione, aumenta l’intensità dei raggi UVB con un conseguente incremento di produzione ma anche con una riduzione dell’assorbimento di vitamina da parte del corpo umano, dovuta alla pigmentazione della pelle, che consentirebbe comunque un continuo accumulo di vitamina a causa della maggiore intensità dei raggi solari.

Se si seguisse la via naturale, avremmo davvero bisogno di poco, non avremmo necessità di filtri solari, anche con i buchi presenti nello strato di ozono. A mio parere non bisognerebbe demonizzare l’assunzione di piccole dosi di sole, anche intenso, ma incoraggiarla, prestando la massima attenzione.

Purtroppo ci siamo molto discostati da quella via e quindi dobbiamo apportare modifiche ai nostri comportamenti sociali, a ciò che mangiamo, alle nostre attività motorie, ecc.

Per quanto mi riguarda, nell’uomo moderno, le sagge parole in medio stat virtus sono applicabili a molti campi, se non a tutti, della nostra vita e della società umana e tale detto vale anche per il giusto equilibrio tra naturale e artificiale. Quindi, qualora sussistesse la reale necessità di assumere antibiotici o di sottoporsi a chirurgia per esser certi di salvarsi la vita, bisognerebbe non esitare troppo.

Ciò detto, mi sentirei di suggerire di esporre ai raggi solari una parte quanto più possibile ampia del nostro corpo durante la bella stagione e assumere piccole quantità di sole (anche 10-20-30 minuti, in base al fototipo della pelle), fronte e retro totali. Infatti, quanto più è ampia la zona di esposizione maggiore è l’assunzione soprattutto nelle ore centrali della giornata, poiché sono quelle dove i raggi UVB sono più intensi.

Tale esposizione, infatti, sembrerebbe offrire un quantitativo considerevole di vitamina D che ci terrebbe, probabilmente, lontani da spiacevoli malanni riconducibili principalmente alla sua carenza. Allo stesso tempo ritengo che poche decine di minuti di sole estivo di mezzogiorno non possano essere la causa di mali estremi. Infatti, tale breve esposizione (senza protezione) sembrerebbe fornire importanti quantità di vitamina che vengono, parsimoniosamente, accumulate dall’organismo (macchina perfetta) senza peraltro dare alcun tipo di anomalia, al contrario di quanto potrebbe accadere con quella sintetica qualora se ne assumessero enormi quantità.

Sembrerebbe che un fototipo chiaro, non abbronzato, possa ricevere ben oltre le 50.000 IU (International Units) in un brevissimo periodo sotto il sole estivo di mezzogiorno. Quindi dovremmo imparare ad avere un certo rapporto con il sole, sì proteggerci, ma intelligentemente, e non criminalizzandolo, come spesso avviene.

Come detto dalla massima autorità in materia di vitamina D, il Dr. Michael Holick: L’Accademia Americana di Dermatologia e l’industria dei protettivi solari hanno svolto un trentennale lavaggio del cervello alla popolazione mondiale con l’incalzante messaggio che non ci si dovrebbe mai esporre alla luce solare diretta perché può causare il tumore della pelle e condurre alla morte”.

Sembrerebbe, al contrario, che il rapporto tra i casi di tumore imputabili al sole e quelli imputabili alla sua carenza siano di 1 a 50, quindi i medici che consigliano una protezione totale e completa dal sole, sempre, dovrebbero forse riconsiderare le proprie indicazioni.

Quando ci si trova al mare, magari basterebbe applicare le creme solo dopo 15-30-60 minuti di esposizione senza filtri o addirittura, dopo tale periodo, indossare indumenti coprenti. Ciò, tuttavia, non varrebbe per le pelli scure: infatti, più è intenso il colore della pelle, più salgono in maniera esponenziale i tempi di esposizione necessari per assumere la stessa quantità di sole. Parimenti, sarebbe interessante vedere quante pelli scure si ammalano di melanoma della pelle.

Sembrerebbe, infatti, che pelli molto scure richiedano da 6 a 8 volte i tempi di esposizione necessari a una pelle chiara per ottenere la stessa quantità di vitamina D. Quindi, un negroide[2] dovrebbe stare circa tre o quattro ore sotto il sole cocente per ottenere la stessa quantità di vitamina D che un europoide assumerebbe in soli trenta minuti. Nel mezzo di questa forbice si troverebbero i mongoloidi e gli australoidi.

Risulta, quindi, assolutamente consigliato per un soggetto negroide, o anche solo australoide, assumere importanti quantitativi di vitamina D sintetica, giacché dai luoghi originali che, evidentemente, consentivano un giusto approvvigionamento di vitamina D, molti si sono spostati, spesso, sopra il 35° parallelo, soglia minima indicata per l’acquisizione della vitamina D nei mesi meno caldi (novembre-marzo).

Tale migrazione geografica ha fatto sì che negli individui negroidi, che vivono nel nord dell’America o in Europa, si presenti una importante carenza di vitamina D che, secondo studi medici di tipo statistico, potrebbe essere la causa di un maggior numero di casi di malattie (compreso i tumori) in soggetti negroidi rispetto a soggetti di altre razze presenti in nord America.

Essendoci stati dei mescolamenti continentali e latitudinali delle razze umane, anche le varie tipologie di pelle hanno subito degli sconvolgimenti. Ad esempio, i soggetti neri che vivono a nord o a sud non recepiscono più le quantità necessarie di sole, sia per latitudine, sia per lo stile di vita che conducono. Quindi, quello che la Natura aveva programmato per loro è stato sconvolto dall’uomo. Così accade anche per altre razze, ma mentre è facile per un europoide ottenere giusti quantitativi di vitamina D, anche vivendo in una differente latitudine (Africa o Asia), non è lo stesso per un negroide che vive in Europa o in America del Nord. Nella peggiore delle ipotesi, l’europeo bianco dovrà proteggersi dal sole, il negroide, invece, non ne riceverà abbastanza.

Consiglio vivamente, quindi, a tutti, ma soprattutto a chi avesse la pelle nera o comunque olivastra (australoide), di eseguire un’analisi della vitamina D annualmente e l’integrazione con i moderni integratori, seppur sintetici. Ritengo che, come consigliato in molti libri di settore, 2.000 UI di vitamina D giornalieri siano il minimo consigliabile nei mesi invernali (molti medici studiosi della materia consigliano o 50.000 UI a settimana per 8 settimane o 10.000 al giorno per 8 settimane).  Personalmente ho assunto 50.000 UI di vitamina D per circa dieci settimane passando da 25 ng/ml a 70 ng/ml.

L’intossicazione da vitamina D, secondo i dati attuali, può avvenire solo oltre 150 ng/ml, anche se è consigliato non superare i 100 ng/ml presenti nel sangue e sfido chiunque dotato di buon senso a ottenere tali valori se non assumendo quotidianamente quantità sproporzionate (ben oltre la media di 10.000 UI quotidiane) per lunghissimi periodi. Esiste, invece, il problema opposto, che per timore d’improbabili intossicazioni da vitamina D non se ne prenda abbastanza.

Purtroppo, come dice il dott. Khalsa nel suo libro,[3] si è passati da un eccesso all’altro. Infatti, in alcuni Paesi europei e in Nord America negli anni ’80 si usava integrare molti alimenti con vitamina D e un accumulo di tali alimenti poteva causare una intossicazione da vitamina D. Ad esempio, se si assumevano il latte rinforzato con vitamina D e i cereali e le merendine e i succhi di frutta, magari tutti assieme e tutti i giorni, si poteva, in alcuni casi, avere degli eccessi di vitamina D.

Pur non essendo una sostenitrice dei supplementi di natura sintetica, poiché credo che l’uomo non possa imitare ciò che ha creato la Natura, mi trovo comunque a dover sostenere l’utilizzo d’integratori sintetici di vitamina D, giacché è difficilmente assumibile in altro modo, pur ritenendo che il miglior integratore sia il sole, preso con parsimonia e intelligentemente. La Natura non può essere mimata e sa bene cosa fare. Tuttavia, i nostri costumi, acquisiti nel corso dei secoli, possono aver modificato, anche sostanzialmente, quella che era in origine la Natura. Eventuali ed efficaci correttivi, come gli integratori sintetici, quindi, non possono che essere i benvenuti se non causassero danni e se fossero efficaci.

Per quanto riguarda gli integratori, pur ritenendoli comunque utili, specialmente alcuni, credo che l’alchimia della Natura non possa essere riprodotta (almeno non ancora) con dei ritrovati sintetici. In particolare non si conosce come un determinato cibo si alchimizzi nell’organismo, cosa sprigioni, che interazioni abbia con gli altri alimenti, ecc. Quindi, come si può pensare che l’integratore sia la panacea? Certamente può essere utile, ma quando noi ingeriamo degli spinaci o un limone non ingeriamo, ad esempio, solo vitamina C, ma una serie importante di nutrimenti (vitamine, sali minerali, enzimi, ecc.) e probabilmente non li conosciamo ancora neppure tutti.

Sarebbe, invece, interessante giungere a riprodurre sinteticamente ciò che è presente in un frutto, ad esempio, o in un vegetale, sperando poi si comporti, interagendo con il nostro organismo, come il frutto o il vegetale stesso.

Tuttavia, pur ritenendo che gli integratori non siano così efficaci come la Natura, sono comunque uno strumento utile per migliorare la nostra salute, in particolare quelli che non hanno bisogno di interagire con altre sostanze, o comunque ne hanno un minor bisogno. Come ho già detto, pur ritenendo la vitamina D un integratore importante, ho notato che non viene utilizzato dai pazienti Gerson. Ne deriva, quindi, che la via naturale supera ogni ostacolo.



[1] Charlotte Gerson, nel suo libro, ne evidenzia la tossicità che raddoppia quando esposta al sole. Eppure, circa il 90% delle creme solari contiene tale sostanza, infischiandosene delle persone che dovrebbero essere protette.

[2] I principali gruppi razziali terrestri possono semplicisticamente sintetizzarsi in quattro tipologie: caucasoide (europoide), negroide, mongoloide e australoide in base ai tratti somatici e al colore della pelle.

[3] Soram Khalsa - Vitamina D: i poteri curativi della vitamina D - Macro Edizioni.

 

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